[Adelphi, Milano 2009]
Secondo natura (1988) è la prima opera letteraria pubblicata da W.G. Sebald, l’unica in versi, e Adelphi la propone ora nella bellissima traduzione di Ada Vigliani. Si tratta di tre testi piuttosto lunghi, che il sottotitolo riunisce in un unico «poema degli elementi »: il primo ha per protagonista il maestro dell’altare di Isenheim, Matthaeus Grünewald, il secondo lo scienziato Georg Wilhelm Steller, che partecipò alla spedizione verso l’Alaska di Vitus Bering, mentre il terzo è una sorta di autobiografia. Sebald è noto soprattutto per la sua prosa straordinaria: Vertigini, Gli anelli di Saturno, Gli emigrati e Austerlitz, tutti tradotti da Vigliani per Adelphi. Secondo natura contiene già parecchio dell’armamentario stilistico e tematico che lo scrittore utilizzerà successivamente; per lunghi tratti è già evidente l’inconfondibile «Sebald-sound», lo stile piano e levigato che attinge alla tradizione tedesca dell’Ottocento.
In alcuni punti si colgono delle affinità con la poesia di H.M. Enzensberger (che pubblicherà i libri di Sebald nella sua Andere Bibliothek presso l’editore Greno); ma in generale il testo si stacca dalla produzione lirica contemporanea, soprattutto per l’intreccio costante fra arte, letteratura e scienze naturali, che in altri autori, come D. Grünbein e R. Schrott, ha esiti meno artisticamente convincenti. Il testo diventa più comprensibile alla luce delle opere successive, dove alcuni motivi trovano più pieno svolgimento; e forse la visionarietà, che qui appare in qualche modo legata al medium poesia, diventa più intensa nella prosa, dove appare chiaramente frutto delle pressioni esercitate dalla storia sulla psiche degli individui.
I personaggi di W.G. Sebald, in Secondo natura come negli altri suoi testi, appartengono sempre alla categoria dei malinconici, afflitti da una «visione parossistica del mondo» come quella attribuita a Grünewald. Caratteristica per loro è l’affascinata constatazione che l’universo è in crollo permanente, e che la sua vera legge è la distruzione; in questo senso la violenza della storia appare a tratti come un semplice, addirittura pallido riflesso della violenza insita nella natura. Questa posizione apparentemente rinunciataria (se la violenza è “naturale”, l’individuo non può che cercare scampo e rifugio: nell’arte, per esempio) ha forse contribuito al successo di Sebald nel mondo anglosassone, in particolare negli Stati Uniti.
In ambito tedesco le sue opere sono state infatti accolte in maniera piuttosto tiepida, in un primo tempo: troppo diverse da quanto si andava scrivendo negli anni ’90, e dotate di un acume legato alla posizione periferica di Sebald, che ha vissuto la sua vita adulta in Inghilterra. Da qui ha potuto cogliere meglio alcune contraddizioni della Germania, legate in particolare all’ambito della memoria delle tragedie del Novecento. Il tema del ricordo percorre tutte le sue opere – anche Secondo natura –, e diviene centrale soprattutto in Austerlitz. I personaggi di Sebald sono sempre diffidenti verso le proprie sensazioni e i propri ricordi.
La memoria è una capacità problematica, necessaria e dolorosa al contempo, che costruisce l’identità dell’individuo, ma può lacerarne l’integrità e metterne in pericolo l’equilibrio psichico. Sebald concentra la sua attenzione sul singolo destino, assai più che sui dati statistici coi loro grandi numeri; è però evidente che il tentativo di analisi delle storie individuali è pensato come contributo alla costruzione di una memoria collettiva non monumentale, ma viva e valida per gli individui, e in qualche modo curativa. La «recita patologica» di Sebald si fa dunque occasione per ricostruire tessuto sociale.
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